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CIGNO, ESCE L’ALBUM “MORTE E PIANTO RITUALE”


Morte e Pianto rituale è il nuovo album dalle sonorità sperimentali del cantautore e musicista romano Diego Cignitti, in arte Cigno, disponibile su tutti i digital stores a partire dal 18 febbraio 2022.

Il titolo è ispirato all’omonimo saggio di Ernesto De Martino, datato 1958, nel quale il celebre antropologo studiò il simbolismo del pianto nelle culture del Sud Italia, intrecciando etnografia, scienza e magia. Allo stesso modo, Cigno coniuga atmosfere alt-rock, no wave, industrial e tradizione cantautorale nel racconto poetico delle ombre del nostro presente, proseguendo così il percorso di ricerca tracciato dai precedenti singoli Udine e Stasera suono tardi.

Presentazione album A

 

Capossela e Nick Cave vanno a un concerto dei Nine Inch Nails.

La contemporaneità contrapposta al tribale. La città si svuota, la campagna riaffiora. I fatiscenti ideali contemporanei crollano, tutto è perduto. I rituali primitivi si esaltano.

Danze dialettali, teatri esoterici, canti innocenti emergono dagli echi di antiche civiltà rurali, che ci appartengono e che aspettano solamente di essere destate. Come sciamani trasmigrano in calde terre di solitudine, dove un cigno muore e rinasce ogni giorno in una palude di neve, cercando di redimere gli assopiti spiriti che covano negli erranti uomini vuoti della nostra modernità decadente.

 

Presentazione album B

 

Per chi crede nella morte e nel frattempo si riavvicina alla vita.

Per le cose che dobbiamo lasciare morire, tanto sono scritte.

Ho stretto la mano della morte avendola rispettata, avendolo accettata, sono rinato e rinasco: si muore e si rinasce ogni notte.

La realtà non è solo formata dalla vita ma anche dalla fine.

Per le cose che finiscono c’è un sepolcro che si apre: così aperto che siamo finalmente risorti.

Ora siamo noi sessi.

Abbiamo visto morire nella croce i nostri attacchi di panico; abbiamo visto morire nella croce le nostre paure; abbiamo visto morire nella croce i nostri pregiudizi: eravamo drogati di speranza. Non posso rimandare a domani sempre. Gramsci era un uomo cagionevole eppure vicino alla morte si è dimostrato un gigante.

Abbiamo capito l’importanza della comunità dietro uno schermo.

L’importanza del rito come catarsi, come liberazione collettiva dal negativo che incombe sulla vita. Insieme possiamo (non) comprendere il senso della vita ma è condizione universale sine qua non.

Siamo sullo stesso piano: foglie secche di uno stesso albero morente.

Mi commuove la necessità di darsi delle risposte; mi commuove il rifugio nella psichiatria; mi commuove il pagano; mi commuove il cristianesimo sudato.

Non è cosa troppo recente che le donne lucane si dimenavano a terra come tarantole per liberarsi dall’incombenza del negativo: nei vetri e sui muri colava la condensa dell’incomprensibile, dell’inconscio.

La convivenza con la mano severa di un padre assente: mente suprema e sempre lontano da quello che succede sul palco dei poveri.

Mentre lavoriamo piangiamo, ci liberiamo nella catarsi di un suono che scandisce un tempo violento.

Il mondo che Ernesto de Martino racconta è di una vecchia antenata: che di nuovo è nata nella mente di un uomo contemporaneo: irrisolto, ignorante, ambiguo, consumista.

Io credo nella risurrezione nella vita: usciamo dai sepolcri.

 

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